Di Giovanni Godio. "Grazie al lavoro e all’impegno dell’associazione Rondine, si torna a riscoprire che dietro ai conflitti ci sono persone che possono vivere in pace. Occorre solo rimboccarsi le maniche.
 
Agosto 2008: l’Europa è in vacanza ma nel Caucaso si spara. Georgia contro le repubbliche separatiste dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhasia, tutte e due appoggiate da un alleato ingombrante, la Russia. Una guerra assurda figlia di vecchie ruggini e di altre guerre: dura pochi giorni, non risolve nulla, si lascia dietro una pesante eredità di morti, rovine e rancore.
 
Ma a migliaia di chilometri di distanza succede qualcosa. Alla fine di quelle vacanze estive, in Italia, in provincia di Arezzo, gli studenti caucasici dello Studentato internazionale del borgo di Rondine si ritrovano insieme e discutono dell’accaduto. 
 
Meno di un anno dopo l’Associazione Rondine Cittadella della pace organizza alla Verna una conferenza internazionale dei popoli del Caucaso. Poi nell’estate 2010, durante un “viaggio di pace” nel Caucaso del Sud, un gruppo internazionale di giovani ottiene con Rondine il via libera per superare l’“invalicabile” linea rossa che a due anni dalla guerra separa ancora la Georgia dall’Abkhasia. La delegazione attraversa un ponte sul fiume Enguri e cammina per un chilometro di terra di nessuno, riaprendo quella strada al traffico civile.

La chiamano diplomazia popolare. Nel nostro mondo sempre più “global” e interconnesso ma diviso da interessi e confini spesso ridicoli, entra in scena quando la diplomazia degli Stati e degli ambasciatori gira a vuoto e un’associazione o un’organizzazione non governativa decide “dal basso” che bisogna rimboccarsi le maniche, mettendo in gioco le proprie competenze e i propri contatti. L’esperienza più famosa è quella della Comunità di Sant’Egidio: grazie alla sua mediazione, nel 1992, le fazioni nemiche del Frelimo e della Renamo firmarono una pace storica dopo 15 anni di guerra civile in Mozambico. Ma non è certo l’unica.«Con la guerra ogni comunicazione si era interrotta – racconta oggi Franco Vaccari, fondatore e presidente dell’associazione Rondine –, e così abbiamo contattato le autorità delle due parti in causa: “Dite di volere che i vostri popoli vivano in pace, e allora lasciate che si incontrino. Si tratta di permettere ad alcuni giovani di attraversare un ponte sbarrato dai carri armati”…».
 
Il conflitto? Va affrontato
La stradina è una di quelle dove due auto non passano assieme e finisce nel borgo medievale di Rondine, nella valle dell’Arno. È qui che ha sede la sua Cittadella della pace, nata negli anni ’90 sulla base del-l’esperienza delle comunità cristiane aretine.
Mission: «Promuovere la risoluzione del conflitto attraverso l’esperienza di giovani che scoprono la persona nel proprio nemico». Strumento principale: uno Studentato aperto a giovani provenienti da Paesi in conflitto.
Obiettivo: aiutarli a diventare «giovani leader» costruttori di pace nella loro terra.
 
Il “metodo Rondine” offre un normale corso di studi in una nostra università, negoziato con un’équipe di formatori, più un percorso di peace building proposto direttamente dallo Studentato, in totale gratuità. «Cerchiamo bravi studenti disponibili a non fuggire davanti al conflitto, perché il conflitto esiste, anche se può essere affrontato in un certo modo – dicono alla Cittadella –. Da noi dividi la camera col tuo “nemico”, per due anni ti confronti tutti i giorni col suo punto di vista: quel nemico che magari prima non avevi mai incontrato, ma era stato costruito dalla propaganda del tuo Paese…». Oggi i giovani dello Studentato sono 28, armeni, kossovari, georgiani, bosniaci, palestinesi, della Sierra Leone, dell’Azerbaijan, del Libano…
 
Se una rondine
può far primavera
L’ultimo progetto di Rondine, partito nel 2012, guarda alla sponda Sud del Mediterraneo e cerca di sostenere i fermenti positivi della Primavera araba. Oggi i giovani di Tunisia, Libia ed Egitto coinvolti sono otto. Per tre mesi frequentano alla Cittadella della pace corsi di team building, leadership, comunicazione, gestione dei conflitti e italiano, e poi per altri tre mesi, a Trento, seguono i workshop del Centro per la formazione alla solidarietà internazionale. Ognuno dei partecipanti ha un progetto, o almeno un’idea, che vuole realizzare nel suo Paese in crisi, senza abbandonarlo.

Si è laureata in legge e a Tunisi è impegnata in una Ong che monitora le elezioni e il rispetto dei diritti umani. Chayma Riahi, 25 anni, è tunisina. 
Oggi è a Rondine e racconta di sé a Dimensioni in buon italiano: «Sai, vediamo la vostra Tv…». Poi: «Dovete guardarci come un Paese in cambiamento, un cambiamento che avrà bisogno di tempi lunghi. Quanto a me, lo so, non ho ancora le idee molto chiare, ma sono qui perché mi piacerebbe realizzare un progetto capace di unire legge e umanità, per una giurisprudenza che sia davvero al servizio della gente e non un lusso per accademici».
 
«La situazione del mio Paese dopo la rivoluzione di piazza Tahrir, in questo periodo di transizione? Piuttosto complicata, direi. Spero che in futuro le cose possano migliorare, se nella nostra società ci saranno più dialogo e più giustizia».«Io invece penso a una campagna di sensibilizzazione sullo sviluppo locale e sulla partecipazione giovanile all’amministrazione locale», ci spiega Ahmed Okasha, egiziano di Alessandria. Ahmed, 23 anni, oltre a una laurea in amministrazione aziendale ha già in curriculum un incarico direttivo in una Ong per lo sviluppo della democrazia. 
 
La legge al servizio della gente, dialogo, giustizia. Cioè pace: una faccenda piuttosto complicata anche lei. Però almeno qualcuno ci prova. <
 

leggi l'articolo nel sito www.dimensioni.org

Sfoglia la rivista con l'articolo completo