Si è tenuto stamani presso l'Hotel Meridien il convegno "Un mare tra due sponde, un ponte tra due mondi. Nuove rotte di pace, sviluppo e innovazione nel Mediterraneo." Riportiamo di seguito parte degli interventi dei relatori che stamani sono intervenuti (in aggiornamento)
Presentazione: Antonio Ferrari, Editorialista del Corriere della Sera
Ospitare gli studenti di Rondine e i partecipanti di Sponda Sud: una delle iniziative più nobili fatte qui. C’è un valore aggiunto, poi, con la Sponda Sud: perché quello che sta accadendo nell’altra parte del Mediterraneo non è una storia conclusa e di cui conosciamo l’esito: per questi ragazzi che hanno scelto di convivere e partecipare a questo progetto è un passo molto importante.
Saluti introduttivi: Antonio Morabito, Ambasciatore d’Italia nel Principato di Monaco
Rondine è un’associazione di cui mi onoro di essere amico da molto tempo. Un’associazione che il Ministero degli Affari Esteri ha sempre appoggiato e che gode di relazioni internazionali forti. Rondine è l’emblema della pace e averla qui nel Principato è altrettanto emblematico: il Principato è un luogo d’incontro e di dialogo, un luogo multiculturale. Fare questa conferenza oggi è una grande sfida.
Antonio Ferrari
È importante che sia presente anche la Sardegna, che rappresenta la Sponda Nord del Mediterraneo in questo progetto e che è venuta qui animata da grande amicizia. Con le Primavere Arabe questi ragazzi hanno dato una speranza non solo al loro Paese, ma anche a sé stessi. Realizzare questa speranza è davvero difficile. Ascoltiamo le loro testimonianze, quelle delle rivolte.
Wael, Tunisia
Mi chiamo Mohamed Wael Khammassi.Vengo dalla Tunisia e ho venticinque anni. Sono laureato in Inglese e Relazioni Internazionali e sto frequentando un master in questo stesso campo all’Università Ibn Sharaf in Tunisi. Sono anche il vicepresidente di un’associazione creata dopo la rivoluzione da un gruppo di giovani, che si chiama “International Relations Association Tunisia”. Mi ricordo bene del periodo della dittatura. Ho vissuto ventitré anni della mia vita conoscendo un solo presidente che controllava tutti gli aspetti delle nostre vite. All’inizio delle manifestazioni del 17 dicembre 2010 non potevo immaginare che questo dittatore potesse cadere. Per me era immortale! La rivoluzione m’ha dato la speranza che possiamo cambiare qualcosa, che possiamo decidere per noi stessi. La rivoluzione era la volontà di tutto un popolo, che aveva sete di un futuro migliore, per sé stesso e per le generazioni a venire. Io, come tutti i tunisini, ho partecipato a questo processo di cambiamento. Abbiamo fatto un passo importante, ma adesso abbiamo molte sfide davanti, adesso la palla è nel nostro campo. Siamo noi giovani a doverci dare da fare. Per questo sono venuto a Rondine, per condividere la mia esperienza con quelle di giovani della Sardegna e dell’Egitto. L’ambiente multiculturale di Rondine mi ha arricchito. A Rondine la differenza è un punto di forza. Rondine insegna: vivere insieme con rispetto delle nostre differenze senza l’obbligo di esser simili. Per me, come tunisino, questo è molto importante.
La situazione della Tunisia è cambiata dopo la rivoluzione: adesso ognuno vuole imporre la propria visione, mentre sarebbe necessario che ognuno accettasse quelle diverse dalla sua. Dopo questa esperienza, spero di mantenere le amicizie che ho fatto qui. Queste possono aprire la strada per nuovi ponti di collaborazione tra i giovani delle due sponde del Mediterraneo. Io non posso immaginare un futuro della Tunisia senza una forte relazione con la Sponda nord. Per garantire questo dobbiamo lavorare sui giovani, che rappresentano il futuro del nostro paese. Siamo molto desiderosi di fare qualcosa per loro. Spero che dopo la fine di questo progetto avremo il sostegno e l’incoraggiamento per realizzare i nostri sogni. I sogni di questa prima edizione del progetto Sponda Sud.
Antonio Ferrari
Voglio sentire da una ragazza tunisina cosa ne pensa dei progressi fatti nel campo dei diritti della donna con la Primavera Araba.
Imen, Tunisia
Il partito dominante voleva passare una nuova legge in cui la donna veniva definita come complementare all’uomo. Sarebbe stato un passo indietro. Per fortuna l’articolo non è stato inserito nella nuova Costituzione. Non voglio dire che sono felice, perché la donna è considerata uguale all’uomo solo dal 1957. Ma almeno non abbiamo fatto un passo indietro.
Riccardo Fontana, Arcivescovo Diocesi Arezzo-Cortona-San Sepolcro
Rondine è un luogo di confine, dove Franco Vaccari riesce a far diventare il sogno realtà. La terra di Arezzo ha una lunga esperienza nell’ospitare le differenze. Già nel Duecento Guglielmo degli Ubertini ha saputo far dialogare persone provenienti da ogni parte del mondo. Saluto, quindi, con particolare simpatia il progetto Sponda Sud, e spero che il coraggio di Franco Vaccari e della sua bellissima squadra faccia in modo che questi giovani, tornati in patria, non siano secondi a nessuno.
Carla Borghesi, Assessore Provincia di Arezzo
Sono orgogliosa e onorata di essere qui oggi a portare il saluto del Presidente della Provincia, in un così prestigioso consesso internazionale. Del resto, quando si parla di Rondine, non solo s’illustra una della eccellenze di Arezzo, ma si ha la sempre la sensazione di fare qualcosa di utile per contribuire a creare le condizioni necessarie affinché gli uomini e le donne di tutto il mondo imparino a vivere insieme, a risolvere le controversie internazionali senza bisogno di ricorrere all’uso delle armi. A essere – per dirlo con una sola frase – più tolleranti gli uni verso gli altri. Sono ormai passati dieci anni da quando la Provincia ha dato la propria adesione al Progetto "Rondine cittadella della Pace". Un'adesione nata dalla convinzione che l'obiettivo di far incontrare in un vero luogo di pace uomini e donne che siano i portatori di una vera cultura di pace, costituisca un contributo concreto della comunità provinciale alla costruzione di quella prospettiva di pacifica convivenza tra i popoli che è essenziale per tenere unito il mondo, lasciandolo realmente libero. Un unione che nasca, dunque, dall'incontro delle diverse culture, come un esempio da opporre alla logica criminale che è all'origine dei genocidi e delle guerre fratricide che ancora oggi producono dramma e devastazione.
La domanda che si deve fare ogni giorno chi è chiamato a tutelare gli interessi di una comunità locale è quali siano le priorità. Io credo che non esista un bene più prezioso da tutelare della pace e della vita degli uomini e delle donne. E sarebbe sbagliato pensare che la tutela di questi beni dipenda da decisioni prese chissà dove, da chissà quale livello di potere. In realtà, quello della pace è un percorso quotidiano che riguarda ognuno di noi e che impegna ciascuno, secondo il contributo che può dare. E sono proprio le comunità locali che, spesso, sopperiscono alle carenze o alla scarsa sensibilità dei governi centrali. Proprio dall'iniziativa di piccole o piccolissime associazioni del volontariato spesso nascono grandi progetti, o anche piccoli progetti, ma di grandissimo respiro, capaci di dare un contributo concreto alla realizzazione della vera pace tra i popoli.
L'attività dell'Associazione "Rondine Cittadella della Pace" è un esempio straordinario di come si possa concretamente realizzare un progetto di solidarietà vera e di respiro internazionale, pur agendo in una piccola realtà periferica. A Rondine si è realizzato un vero laboratorio di pace, nel quale si promuove una cultura nuova, ossia quella che noi vorremmo fosse la cultura del Terzo millennio. Una cultura di pace e di rispetto, che sappia affermare il supremo valore della giustizia e della convivenza pacifica tra popoli, razze e religioni; e che sappia anche formare quella coscienza ambientale che dovrà essere patrimonio di tutte le giovani generazioni. La cultura dell’incontro, della tolleranza, della reciproca apertura verso le diversità è alla base dell’integrazione sociale. E l’integrazione è essenziale per garantire la tenuta della nostra società. Ecco perché voglio augurarmi che il “laboratorio Rondine” possa sempre di più essere il modello al quale guardare per sviluppare politiche di convivenza e di pace, oggi più che mai essenziali per la convivenza e le relazioni tra i popoli.
Hany, egiziano
Mi Chiamo Hany Talaat, vengo dall’ Egitto e ho ventinove anni. Lavoro come supervisore finanziario in una grande associazione, “l’Associazione dell’alto Egitto per l’educazione e lo sviluppo” e sono membro del “comitato di giustizia e pace nella Cattedrale cattolica di Asiut”. Per me la rivoluzione era un sogno irraggiungibile. Non immaginavo che Mubarak potesse lasciare la presidenza. Non ci potevo credere all’inizio della rivoluzione. I giorni di piazza Tahrir sono stati molto duri per me: mancava la sicurezza e c’era un clima di guerriglia urbana. Adesso siamo più liberi, possiamo finalmente parlare in libertà, cosa impossibile sotto Mubarak. Io, come cristiano, non potevo nemmeno partecipare alla vita politica. Dopo la rivoluzione è nato il partito “Free Egyptians” e io ho cominciato a farne parte e ho invitato la gente a farne parte. Non avrei mai potuto farlo prima. Con il Comitato di Giustizia e Pace cerchiamo di far dialogare musulmani e cristiani, per cambiare insieme il nostro Paese. Siamo riusciti a mandare via Mubarak, ma adesso corriamo il rischio di sostituire il suo regime con un altro. Il nostro compito adesso è di creare un dialogo tra cristiani e musulmani, per stabilire obiettivi insieme e realizzare un vero cambiamento, senza un altro regime calato dall’alto. Per questo ho scelto di partecipare a Sponda Sud e venire a Rondine. Il dialogo che insegna Rondine è molto importante in Egitto. Inoltre, quando ho letto la proposta di Sponda Sud ho visto che avrei dovuto vivere con tunisini e libici. Vivere con arabi non egiziani: per me era la prima volta. Ho pensato che volevo conoscere bene le loro culture: siamo tutti arabi, è vero, ma abbiamo culture diverse e ci conosciamo poco. Abbiamo fatto tutti rivoluzioni che per me era importante condividere. Parlando con Raja, Wael, Nesrine ecc. ho scoperto che abbiamo fatto la rivoluzione per gli stessi motivi e che insieme dobbiamo cercare di portarla a termine, anche con l’aiuto dei nostri amici della Sponda nord del Mediterraneo. Non potrò mai dimenticare questa esperienza, gli amici di Sponda Sud e di Rondine e non riesco a esprimere quello che sento adesso. Grazie a Rondine e ai miei amici di Sponda Sud!
Antonio Ferrari
Hany è un cristiano copto. Voglio chiamare Maha, musulmana, per chiederle: sarà possibile un giorno in Egitto parlare semplicemente di egiziani e non di egiziani copti o egiziani musulmani?
Maha, egiziana
Comprendo la discriminazione che Hany ha vissuto durante l’era di Mubarak. Tutti sogniamo un Paese senza discriminazionI. Il vecchio regime ha provato per anni a convincerci che una convivenza tra cristiani e musulmani era impossibile. Non è vero. E con la rivoluzione l’abbiamo dimostrato: il tentativo di Mubarak è fallito. Io sogno un Paese in cui l’orientamento religioso non debba essere scritto nella carta d’identità, ma dove la religione sia un fatto personale e si possa vivere insieme liberamente.
Riccardo Migliori, Presidente dell’Assemblea parlamentare dell’OSCE
A Helsinki, nel 1975, quando fu creata l’OSCE, Aldo Moro volle sottolineare che “senza pace nel Mediterraneo non vi sarebbe stata pace nel mondo”. Da questa considerazione strategica nacque, all’interno dell’organizzazione, il FORUM MEDITERRANEO. Un luogo, cioè, di confronto istituzionalizzato cui da subito aderirono, in qualità di Partner, quasi tutti i paesi del Sud Mediterraneo. Da allora l’OSCE ha favorito le relazioni tra i cinquantasei Paesi del nostro emisfero. fornendo l’humus sul quale si è poi attestata la stagione dei diritti culminata con la rivoluzione dei gelsomini. Oggi la situazione impone un passo nuovo e una prospettiva più ampia e coraggiosa. Il Sud del mondo è a Sud del Mediterraneo, laddove da Timbuctu al Solamiland l’emergenza umanitaria può produrre l’emergenza Al Qaeda. L’OSCE per la sua cultura inclusiva è una cornice di sicurezza, cooperazione e diritti. Può essere, per avere al suo interno sia l’America sia la Russia, il collante di un nuovo scenario Geopolitico che cancella il Canale di Sicilia. Già Libia e Mauritania vogliono aderire alla Partnership, mentre la Tunisia la vuole trasformare in membership. Possiamo avere il coraggio di una nuova grande unità nella diversità, nella Comunità di destino. Abbiamo bisogno di ponti protettivi per tutti: L’OSCE è uno di questi.
Antonio Ferrari
Questa ventata di libertà nei Paesi Arabi: voglio dare l’apertura a Raja.
Raja, tunisina
Sono ottimista, prima non ero libera di esprimermi, di portare questo abito. A Rondine ho acquisito coraggio e voglio toccare un argomento delicato. Quello che fanno passare i media non è vero: non credo che i salafiti siano il nostro problema principale; i problemi sono altri: la disoccupazione, la mancanza di diritti. Voglio lottare per il mio Paese, voglio poter andare un giorno a un colloquio di lavoro ed essere giudicata per le mie competenze e non per l’abito che porto.
Nesrine, tunisina
Capisco la paura di Raja di essere giudicata. È una paura che dobbiamo condividere tutti. Secondo me non siamo ancora liberi in Tunisia, ma è normale dopo una rivoluzione: siamo in una fase di transizione. I giovani hanno domandato libertà, giustizia e diritti sociali. Molti credono che l’Italia sia il Paradiso e vogliono venire qui. Ma dobbiamo rimanere in Tunisia e lottare per una Tunisia giusta.
Giovanni Camilleri
Esistono strategie dell’UNDP sulla Primavera Araba: sui giovani, sulle donne, sull’economia, sulla giustizia sociale, sui diritti umani. L’iniziativa ART dell’UNDP lavora sui territori e con questi programmi promuove il dialogo tra i territori: questi territori devono parlarsi e conoscersi prima di stabilire relazioni su dinamiche diverse. La comunicazione può essere uno strumento fondamentale per promuovere il dialogo. Comunicazione, dialogo e azione. Questo quadro di riferimento è indispensabile per agire: creiamo questi quadri per far sì che i progetti possano essere poi davvero efficaci. Come ad esempio con la promozione del dialogo tra la Sponda nord e la Sponda sud del Mediterraneo. Noi non agiamo da soli, ma in collaborazione con diverse regioni: ad esempio con quella Toscana, in modo da creare tavoli territoriali, in cui ognuno possa portare quello che meglio sa. Il Principato di Monaco è uno dei nostri migliori partner per realizzare queste iniziative.
Barbara, sarda
Mi chiamo Barbara e anch’io sto partecipando al progetto Sponda Sud insieme ai ragazzi dell’Egitto, della Tunisia e della Libia. Quando nel bando del progetto ho letto che avrei trascorso un periodo formativo con i ragazzi della Primavera Araba, ho inviato immediatamente la mia candidatura con la speranza di essere selezionata. La curiosità di conoscere i protagonisti delle rivoluzioni in Libia, Tunisia ed Egitto ha superato i mille dubbi e le difficoltà che accompagnano queste esperienze. Quando si parla di questi Paesi, li immaginiamo distanti, geograficamente e culturalmente. In realtà sono più vicini di quanto pensiamo. Ricordo che, appena arrivai a Rondine, vidi un gruppo di ragazzi impegnati a discutere su un tema tutt’altro che semplice: velo o non velo? Rimasi meravigliata: il loro tono era scherzoso e confidenziale, come se l’argomento non avesse il potenziale di creare conflitti. Ho capito, vivendo ogni giorno il progetto Sponda Sud, come Rondine riesca a creare questo clima. Il 18 luglio è iniziato il Ramadan. Ad Arezzo la temperatura sfiorava i quaranta gradi. Mi rivolsi a Raja, una ragazza salafita partecipante al progetto. Stava soffrendo molto il caldo e, con tono ironico, le consigliai di levarsi il velo. Lei rise. Prima di entrare nel progetto non avrei mai pensato di poter scherzare spontaneamente su un argomento così delicato. Ora no. Ora ci sentiamo tutti alla pari, liberi di essere autentici. Insieme stiamo lavorando a un progetto che renda questa autenticità il nuovo clima del Mediterraneo, un mare che dovrà unire popoli fratelli.Quando immaginiamo questi ragazzi, li immaginiamo molto diversi da noi. Invece sono più vicini di quanto pensiamo.
Vannino Chiti, Senatore, Vice Presidente del Senato della Repubblica Italiana
Su cosa può fondarsi, ancor più in questo nostro secolo, una collaborazione tra due mondi, che hanno in comune non solo lo stesso mare, ma una storia e la costruzione di un futuro, di un destino non separato? Sul dialogo, la comprensione reciproca, su un impegno condiviso per dar vita a società democratiche, perché senza democrazia non si costruisce un domani di pace, stabilità, sviluppo equilibrato e duraturo.
La democrazia è l’ordinamento che più di ogni altro garantisce la dignità e la libertà di ogni persona, fissando dei limiti al potere degli Stati; è un valore in sé che, per realizzarsi compiutamente necessita di un coinvolgimento dei popoli e degli individui; di un impegno coerente della comunità internazionale.
Si fonda su valori quali la tolleranza, la convivenza fra religioni, culture ed etnie diverse, l’uguaglianza tra uomini e donne, l’impegno per la ricostruzione delle società sconvolte dalla guerra.
Dopo aver vinto nel XX secolo i totalitarismi di destra e di sinistra, la democrazia è a rischio di crisi, sfidata dai fondamentalismi, dal terrorismo, da una globalizzazione affermatasi fino ad ora senza regole, così che la finanza ha reso subalterne l'economia reale e la politica. Non possiamo archiviare gli attacchi alle Ambasciate occidentali e dimenticare il barbaro assassinio dell'Ambasciatore degli Stati Uniti in Libia: è necessario assicurare ovunque il rispetto per ogni fede, ma bisogna chiedere fermezza a tutti i Governi, anche a quelli nati dalla primavera araba che hanno aperto speranze di cambiamento: niente può giustificare la violenza. Preoccupano i ripetuti attacchi alle chiese cattoliche in Nigeria e Kenya, come ogni atto contro cittadini ebrei e sinagoghe, come l'intolleranza verso i musulmani. Non si può restare indifferenti.
La primavera araba sta incontrando difficoltà, come avviene in fasi di transizione, tanto più se accompagnate da una grave crisi economica come quella che ha colpito il mondo e in primo luogo l'Occidente. Quei Paesi devono portare a compimento la costruzione di una reale democrazia. L'Unione Europea non può stare a guardare: è nostro interesse vitale che quell'obiettivo venga raggiunto e cresca il benessere di quei popoli. Il dialogo deve prevalere sulle contrapposizioni.
La democrazia, oggi, non vive solo all'interno degli Stati nazionali: sarebbe impotente rispetto ai processi del mondo globale.
Abbiamo bisogno di rinnovare le istituzioni che presiedono alle relazioni tra i popoli: in primo luogo è decisiva una riforma dell'ONU, che renda il Consiglio di Sicurezza espressione delle varie aree mondo, superando l'antidemocratico privilegio del diritto di veto, riservato ai cinque membri permanenti.
Il dramma della Siria e l'impotenza della comunità internazionale si spiega anche così.
Nel nostro continente la priorità è l'Unione Europea: qui si gioca il futuro della democrazia, anche nelle singole nazioni. Nessuno Stato europeo da solo sarà protagonista nelle scelte del XXI secolo: può esserlo l'Unione Europea, se abbiamo la volontà di farla vivere come grande democrazia sovranazionale, come Stati Uniti d'Europa.
Il premio Nobel per la Pace assegnato nel 2012 all'Unione deve spronarci per muovere verso questa prospettiva. Solo così l'Europa potrà esercitare una leadership che contribuisca a diffondere ovunque i valori che da 60 anni ne sono a fondamento.
Il Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, ha indicato i passi da compiere: per le elezioni del nuovo Parlamento Europeo nel 2014, occorre avere una «procedura elettorale uniforme. Un sistema che consenta lo scambio di candidature e la presentazione di capilista unici nei vari Paesi da parte dei grandi partiti europei». Insieme «l'identificazione tra la figura del Presidente del Consiglio Europeo e il Presidente della Commissione Europea affidandone in prospettiva la scelta agli stessi elettori».
Il Presidente della Repubblica francese François Hollande, dal canto suo, ha recentemente spiegato alla stampa nazionale e internazionale alcune delle sue proposte. Di particolare importanza la realizzazione dell'unione bancaria, con una supervisione affidata alla BCE; un più forte coordinamento politico dei paesi della zona euro e una integrazione solidale tra quelli dell'Unione. Per il Presidente della Francia "l'unione politica è la tappa che seguirà l'unione di bilancio, l'unione bancaria e l'unione sociale": anche per Hollande cruciali saranno le elezioni europee del 2014. L'avvenire dell'Unione sarà la sfida di quel confronto elettorale.
La dimensione pubblica delle religioni è un dato: basta saper guardare il mondo intorno a noi. Può essere una ricchezza per la convivenza nella società e per la stessa democrazia, nella misura in cui si accompagni al pluralismo religioso e delle culture. È il contributo che l'Europa – per l'esperienza che qui viviamo – può dare agli altri continenti, in particolare ai nostri vicini dell'Africa. Garantire spazi di libertà e di pluralismo non può significare rinunciare ad affermare, nei confronti di tutti, i valori irrinunciabili dei diritti umani e della laicità, intesa quest'ultima come uguaglianza di ogni cittadino di fronte allo Stato, senza discriminazioni fondate sull'appartenenza ad una determinata cultura, religione o etnia.
La libertà religiosa è parte costitutiva, inseparabile dalla libertà senza aggettivi.
È indispensabile evitare che si allarghino i fossati tra cultura laica e cultura religiosa: la necessità è quella di ridefinire un minimo comune denominatore di valori, un nuovo umanesimo. La politica, nella sua autonomia – e rispettando l'autonomia delle religioni – ha il dovere di creare, per ciò che le compete, le condizioni che aiutino lo sviluppo di un confronto positivo. Essa può farlo rimuovendo le cause di conflitto e di sfiducia tra i popoli, a cominciare dal bacino del Mediterraneo; dando una giusta soluzione ai diritti del popolo palestinese ad avere un suo Stato e a quelli di Israele a vivere in stabilità e sicurezza; avviando uno sviluppo più giusto; realizzando infine politiche di inclusione per gli immigrati.
"Il centro del mondo si è spostato nel Nord Africa" afferma Tahar Ben Jelloun, nel suo libro La rivoluzione dei gelsomini in cui parla della primavera araba. "Cadono i muri di Berlino… più niente sarà come prima in questo mondo arabo".
Il Mediterraneo rappresenta un punto nodale per l'avvenire del pianeta. Qui si gioca una partita decisiva per la pace; per una cooperazione che, ponendo al centro la persona e l'ambiente, assicuri a tutti i popoli una credibile prospettiva di sviluppo e giustizia; qui può essere sconfitto o viceversa divenire il tornante della storia del XXI secolo quello "scontro di civiltà" che ha bisogno, per affermarsi, di ridurre le grandi religioni a ideologia delle singole nazioni o dei fondamentalismi.
Anche per questo il contributo delle religioni alla pace, all'incontro tra diverse etnie, che si affacciano su un medesimo mare, è più che mai indispensabile.
Nel Mediterraneo il continente africano misura le sue potenzialità, le sue contraddizioni e arretratezze con l'opulenza, attraversata da disuguaglianze e povertà vecchie e nuove, dei paesi europei sviluppati. Una rinascita del nostro Mediterraneo non sarà compiuta né di beneficio all'insieme dei suoi popoli, se non verrà posta fine alle tante crisi e conflitti, che continuano a sfregiarlo.
La primavera araba può essere l'occasione tanto attesa per raggiungere insieme questi traguardi. Nessun obiettivo di pace, di libertà, uguaglianza è possibile senza o contro la democrazia.
I paesi del nord Africa stanno decidendo in questi mesi del loro futuro dopo essere passati attraverso rivoluzioni talvolta sanguinose. I delicati equilibri che si stanno instaurando fra le diverse anime che hanno guidato le rivolte, ed i governi che si sono formati, decideranno anche del futuro del Mediterraneo e, inevitabilmente, condizioneranno l'avvenire dell'Europa.
Ciò che è accaduto in tutta l'area del Maghreb e del Medio Oriente, le violenze, gli scontri che vediamo ancor oggi in Siria sono impressionanti. Aree geograficamente prossime, sono attraversate da tensioni profonde. Non dobbiamo però ignorare il potenziale che si è manifestato in quelle piazze riempite soprattutto dai giovani: su di esso dobbiamo scommettere per dar vita ad un futuro migliore.
L’Occidente, e in particolare l’Europa, hanno mostrato spesso la loro incertezza, oscillando tra la spinta istintiva ad appoggiare rivolgimenti democratici e il timore che la sovranità restituita ai cittadini potesse far vincere l'intolleranza, condurre a regimi autoritari.
L'Occidente che riconosce solo se stesso, la sua cultura, le sue priorità economiche e tratta gli altri popoli e continenti come subalterni, smarrisce la via del futuro, si isola e condanna se stesso alla perdita di ogni prospettiva.
Non si deve aver paura di un Nord Africa libero e democratico, né temere un possibile spostamento dell'asse delle relazioni dal Nord Europa al Mediterraneo. È necessario favorire scambi di conoscenze, forme concrete di cooperazione, sostenere il percorso di transizione democratica di questi Paesi.
Il Mediterraneo sarà sempre più affidato alla nostra responsabilità: gli Stati Uniti non vogliono né sono più in grado di esercitare una delega in nostro nome. L'Africa – e in primo luogo il Nord Africa – sono il primo banco di prova di un'Europa che non voglia essere "un nano politico", che intenda cooperare per estendere diritti umani, sconfiggere il sottosviluppo, la distruzione dell'ambiente, i fondamentalismi e la violenza terroristica.
Il peso del Nord Africa è crescente.
Nei prossimi quarant’anni la popolazione mondiale aumenterà di 2 miliardi: gran parte nascerà in Nord Africa e Medio Oriente.
Secondo le stime delle Nazioni Unite, nel 2050 la sua popolazione ammonterà a oltre 300 milioni: già ora più del 40% ha un’età tra i 15 e i 24 anni, con un tasso di disoccupazione giovanile attorno al 28%, il doppio di quella mondiale.
Anche per questi paesi, nei prossimi anni, la ricerca di un posto di lavoro sarà la sfida da vincere: da soli nessuno può farcela.
Per allontanare dal futuro di tanti giovani lo spettro della disoccupazione, dobbiamo creare relazioni sempre più salde tra i nostri paesi, fondandole sulla fiducia reciproca, la volontà di collaborare per il diritto al lavoro, uno sviluppo equilibrato e sostenibile.
La formazione sarà la via maestra. In questo quadro diventa prezioso, una speranza di futuro, il progetto di "Rondine Cittadella della Pace" per la formazione di una nuova classe dirigente per la Sponda Sud del Mediterraneo. Nel borgo medievale di Rondine, vicino ad Arezzo, giungono ragazzi provenienti da tanti paesi in conflitto, prima dai Balcani, dal Caucaso, dal Medio Oriente, ora anche dall’Africa. Condividono il tempo della loro formazione con altri giovani, che erano abituati a considerare estranei, talvolta addirittura "nemici"; lo stare insieme, il dialogo, fa scoprire con la concretezza delle sfide da affrontare la comunanza di un destino, sperimentare la solidarietà, l'impegno per dar vita ad un mondo più giusto. Muta la coscienza del loro compito personale e di quello con cui contribuire alla storia dei loro paesi e della comunità umana. Saranno donne e uomini decisi a "costruire ponti e ad abbattere muri". Queste sono le classi dirigenti di cui abbiamo bisogno, che dobbiamo impegnarci a formare.
È l'attività più importante che possiamo svolgere, quella che realizzerà risultati non precari. L'Italia vuol dare il suo contributo grazie al lavoro di Associazioni come Rondine, al sostegno di istituzioni nazionali e locali.
Tullio de Mauro ha scritto che «una classe dirigente male alfabetizzata, non aggiornata, è la rovina di un paese, molto più di un crollo della Borsa».
Vogliamo per il Nord Africa, per i Balcani, per i nostri paesi, una classe dirigente consapevole, padrona delle conoscenze, artefice della costruzione della democrazia, dell'affermazione dei diritti umani, di una pace giusta e stabile.
Antonio Ferrari
Dove sono i risultati concreti della Primavera Araba? Ci sono stati? Ci potranno essere presto?
Radwa, egiziana
E' troppo presto per affermare che la rivoluzione non ha avuto risultati concreti. Non siamo più silenziosi, non perdiamo più la speranza, possiamo partecipare a quello che sarà l’Egitto: è un risultato concreto. Il fatto che io ora sia qui è un risultato concreto.
Amira, egiziana
La Primavera araba non è un periodo di tempo, ma la via della vita. Perché i giovani egiziani scelgono la via delle loro vite. Sono d’accordo con Radwa: ci sono dei risultati concreti. Forse non arriverò io nella mia vita a vederli tutti, ma sicuramente li vedranno le generazioni dopo di me. Sto lottando per loro.
Souad, tunisina
Quello che abbiamo visto in Tunisia non era la rivoluzione. La rivoluzione è adesso: l’economia è peggiorata. La prima domanda del popolo tunisino era: pane, giustizia e libertà. Abbiamo bisogno di cooperazione con la Sponda nord: anche la crisi della Sponda nord ha bisogno dell’aiuto della Sponda sud per essere superata.
Mauro Garofalo, Relazioni Internazionali, Comunità di Sant’Egidio
A Sant’Egidio diciamo sempre che la guerra è la madre di tutte le povertà. Lavorare per la pace, quindi, è il miglior modo per aiutare i poveri, che è la nostra principale vocazione.
Una parola sulla Primavera Araba: non inizia come fenomeno religioso, ma come fenomeno democratico, mediatico, popolare. Si chiede di contare da un punto di vista politico, si chiede un futuro: è una rivolta pragmatica. La Comunità di Sant’Egidio, come vent’anni fa col Mozambico, ha sempre cercato di mediare situazioni di guerra e conflitto e lo sta facendo anche adesso con questi Paesi. Perché Sant’Egidio funziona? Perché non ha mandati politici, non ha scadenze, può seguire una situazione per decenni con pazienza, non punisce, ma è mediatrice ed è composta da uomini di fede, accolti anche da chi ha una fede diversa.
Radwan Khawatmi, Presidente del Movimento Nuovi Italiani
Vengo dalla Siria, dove il mio popolo sta morendo e spero anch’io nella Comunità di Sant’Egidio.
Mi rivolgo ai giovani della Sponda Sud: i vostri popoli vedono in voi i futuri leader, portatori di pace, una pace guadagnata e meritata. Mai una guerra ha portato alcun risultato positivo: nel Medio Oriente ci sono ancora tante guerre. È vostro compito eliminarle. Posso dirvi che siete la mia fotocopia e che le porte del successo possono aprirsi quando meno ve lo aspettate.
Cristina Castelli, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
La resilienza, come capacità di superare prove dolorose e guardare avanti nella vita dopo conflitti o violenze, implica, per le persone colpite, processi di riconciliazione e adattamento a nuove situazioni.
Il percorso è lungo perché è necessario un certo lasso di tempo per poter ritornare con la mente e col cuore su ciò che è accaduto e attribuirvi una rappresentazione dotata di senso, che consenta al soggetto di dare e, soprattutto darsi, una spiegazione dell'esperienza vissuta.
Il presente contributo illustra l'intervento realizzato dall’équipe di psicologi ed educatori dell’Università Cattolica che hanno operato in contesti altamente traumatici di catastrofi naturali ( Sri Lanka, Haiti, Abruzzo,) ma soprattutto dopo i disastri provocati dall’uomo, come ad esempio genocidi e guerre in Kosovo, Afganistan e nord Sri Lanka ed oggi orientato a lenire le ferite “invisibili” dei rifugiati politici che fuggono da situazioni conflittuali o da vendette post-conflittuali e giungono sulle coste del Mediterraneo italiano.
Dopo un conflitto, come dopo qualunque catastrofe, non ci sono solo drammi personali, ma anche case, chiese, scuole e monumenti che crollano: l’uomo perde i punti di riferimento concreti ma soprattutto simbolici e culturali e la continuità dell’esperienza individuale e collettiva viene minacciata. Quando poi persone o gruppi in fuga dal proprio paese, vengono accolti ma isolati, come nel caso dei rifugiati politici, è molto difficile mettere in atto risposte resilienti .
Le persone richiedenti asilo politico affrontano il pregiudizio della “credibilità della testimonianza”, sono costrette a rievocare traumi che vorrebbero dimenticare e il tempo personale di rielaborazione degli accadimenti non viene rispettato. Questo perché la condizione di richiedente è un fatto puramente burocratico, che non prende in considerazione le esigenze delle persone.
Nel centro attivato dall’Università Cattolica, chiamato “Punto a capo”, ci troviamo di fronte ad un’umanità che deve affrontare situazioni di:
– perdita della fiducia nell’essere umano;
– incapacità di comprendere la dinamica sottostante alla guerra vissuta;
– paura e sentimenti di insicurezza, (per i bambini si aggiunge la perdita del ruolo protettore dell’adulto);
– irriconoscibilità dell’ambiente in senso fisico e culturale;
– senso di colpa per l’orrore e il vissuto di impotenza totale di fronte ad esso;
– percezione di pericolo costante di dover rimpatriare per il non riconoscimento dello status di rifugiato;
– sentimento di disperazione e difficoltà ad immaginarsi un futuro migliore.
Se queste sofferenze sono probabilmente le medesime in ogni essere umano traumatizzato, la possibilità di riconciliazione con la propria storia, la ricomposizione della ferita e il percorso di resilienza, dipende dall’aiuto e dalle strategie che il contesto sociale sa offrire al profugo e che riguardano principalmente :
1) la presenza di una rete sociale attiva in luogo sicuro,
2) una politica nazionale o di gruppo finalizzata alla riconciliazione,
3) la presenza di un mediatore (un paese, una organizzazione o una persona),
4) la possibilità di parlare, ripercorrere la propria memoria, dar senso agli eventi e riallacciare legami.
Con tali premesse in Università abbiamo realizzato un progetto di ricerca-azione a partire dal paradigma della resilienza, finalizzato alla riappropriazione della memoria individuale e collettiva e al rafforzamento dell’identità e dell’autostima.
Tra le diverse metodologie impiegate, emerge il “Memory Work of Resilience Programme”, che vede nella narrazione e nella condivisione delle passate esperienze i mezzi funzionali al superamento di vissuti potenzialmente traumatici.
L'adozione di questo programma nasce dalla collaborazione tra l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e l’Università di KwaZulu – Natal in Sud Africa a cui è affiliato il centro di Sinomlando attivo sul tema della riconciliazione dopo la guerra civile.
L’applicazione del metodo MWRP con richiedenti asilo politico consente di garantire supporto psicologico a tali soggetti e di passare da un approccio burocratico ad un approccio narrativo. Ciò permette, da un lato di aiutarli ad affrontare l’iter di riconoscimento dello status, spesso causa di riattivazione del trauma, e dall’altro, di sostenerli nell’attribuzione di senso e nella rielaborazione della dolorosa esperienza della crudeltà umana e della fuga.
Il filo rosso del programma sono i ricordi che vengono recuperati attraverso diverse tecniche; tra queste interessante è la “Memory Box”, una scatola personale che raccoglie pensieri, preghiere, fotografie, disegni e ricordi del passato, come luogo fisico dell’emotività.
Obiettivo del progetto è quello di porre positivamente la propria storia per osservare il proprio cammino in luce nuova, riconoscendo le proprie capacità e competenze, ma anche relativizzando la propria sofferenza per condividerla con altri e realizzare che non si è soli e che insieme si possono trovare nuove vie di uscita.
Marco Emanuele, Link University Camp
A me piacerebbe riprendere alcuni passaggi che ho ascoltato e che per me dovrebbero rappresentare il centro di quello che abbiamo detto oggi. Vorrei sinceramente complimentarmi coi ragazzi che sono intervenuti, perché ci hanno regalato quel pizzico di speranza che le certezze occidentali hanno smarrito. Vorrei riprendere un passaggio del Vice Presidente Chiti: la democrazia è un fatto importante, ma che va adattato alle situazioni. Evitiamo di rifare l’errore dell’epoca coloniale. Poi, il passaggio di Migliori: l’Europa come deve guardare sé stessa i prossimi vent’anni? Si dovrebbe eliminare il termine Sponda sud, Sponda nord e pensare come un unico mondo.
Conclusioni: Franco Vaccari
L’acqua del Mediterraneo. Siamo partiti con due certezze nel progetto Sponda sud: che quest’acqua è stata per anni la tomba di molte persone che venivano in Europa a cercare fortuna. Una certezza che pesa sulle nostre coscienze. La seconda certezza è la nostra ignoranza: non ci conosciamo. Quest’acqua è un oceano. E allora abbiamo deciso di vedere se il metodo di Rondine potesse fare in modo che per un tempo lungo giovani scegliessero di vivere gomito a gomito. Questi giovani sono arrivati dal Trentino, dove stanno facendo la seconda parte di un percorso cominciato ad Arezzo e passato per la Sardegna. Rondine sceglie un tipo di formazione che parte certamente da un percorso emozionale, ma crede allo stesso tempo che una categoria come l’amicizia non possa essere lasciata ai rapporti tra i singoli. L’amicizia è un mistero umano, il mistero di un legame profondissimo, ma che nello stesso tempo lascia liberi. È dentro questo mistero, così universale, che si trova declinato in varie religioni e culture, che noi dobbiamo attingere. In persone della Sponda nord troviamo valori condivisi. Se sogno vuol dire creare un humus comunitario in cui è possibile creare un futuro e mobilitare energie per costruirlo, allora viva questi sogni! Siamo grati a questi giovani, che hanno accettato una grande sfida. Con loro abbiamo un rapporto reciprocamente asimmetrico: reciproco perché da loro apprendiamo e diamo in cambio; asimmetrico perché noi siamo adulti che non vogliamo abbandonare il compito degli adulti, lasciando sulle spalle dei giovani il futuro.
È importante muoversi con le istituzioni locali, perché a Rondine è importante una parola: insieme. E a Rondine si viene insieme. Per noi è un onore essere qui nel Principato, perché Rondine ha un gran bisogno di un luogo dove ci sia un’atmosfera internazionale. Ci auguriamo che questo non sia un passaggio veloce, ma l’inizio di varie collaborazioni, che possa essere alla testa di un risveglio culturale, politico e civile di cui tutto il mondo ha bisogno.
Jose Badia, Ministro degli Affari Esteri del Principato di Monaco
Vorrei sottolineare il dinamismo di questa mattinata, che è prova dell’amicizia tra l’Italia e la Francia. Le vostre testimonianze mi hanno toccato molto. Continuità tra passato, presente e futuro. Il Mediterraneo è sempre stato un mare agitato: la cooperazione internazionale deve trovare il modo di riuscire a superarlo. Abbiamo la responsabilità verso le generazioni future di farlo adesso.