L'esperienza di Leonard Dabou, giovane maliano studente di Rondine Cittadella della Pace.

 

La religione può essere un’arma? Uno strumento a servizio della guerra? È stato questo il tema centrale di uno dei seminari che ho trovato più interessanti durante il mio percorso formativo a Rondine, iniziato lo scorso luglio. Sono Leonard e vengo dal Mali e questo approfondimento mi ha aiutato a trovare nuovi punti di vista sul ruolo della religione nei conflitti e in particolare in relazione alla situazione che vive il mio Paese oramai da diversi anni. Il seminario dal titolo “Religione, guerra e dialogo interreligioso” tenuto da Sihem Djebbi, ricercatrice e docente presso Sciences Po di Parigi, Paris Institute of Political Studies, e docente presso l’Università di Parigi, XIII Sorbonne Paris Citéè, è stato importante non solo per me, ma anche per gli altri giovani di Rondine che come me vengono da luoghi di conflitto.

Ogni conflitto è diverso, ma spesso le religioni hanno un ruolo importante in queste dinamiche. La religione ha di certo un ruolo importante nel caso del Mali proprio perché ad un certo punto il conflitto è stato spostato dal piano politico a quello religioso in maniera assolutamente strumentale. Tra il 2002 e il 2003, approfittando dell’instabilità politica e del colpo di stato, i ribelli che hanno invaso il Nord del Paese hanno introdotto alcuni degli elementi più estremi della Sharia, imponendola come regola di condotta quando ancora molte persone non la conoscevano affatto. Le persone hanno sofferto molto sotto questa legge durante la crisi e l’occupazione perché le punizioni inferte a chi trasgrediva sono state spesso crudeli. Il fatto di usare la religione come strumento di propaganda nel conflitto nel territorio nel Nord del Mali ha fatto sì che la situazione si spostasse anche nella parte meridionale del paese, in un paese in cui la religione dominante è l’Islam. Alcuni gruppi di interesse hanno provato a diffondere la Sharia come regola di condotta per la vita delle comunità e questo soprattutto a discapito delle comunità cristiane del Nord. Ciò ha avuto forti ripercussioni nella popolazione per molto tempo, nessuno sapeva come intervenire perché se mai si fosse aggiunto un conflitto religioso in maniera aperta al problema già esistente, la situazione sarebbe stata fuori controllo.

È in questo contesto che i leader religiosi musulmani, cristiani e protestanti hanno tenuto un incontro e tutti hanno concordato una campagna di sensibilizzazione nazionale cercando di aiutare le persone a capire la natura del conflitto e non confondere il livello politico con quello religioso ovvero la strumentalizzazione della religione avvenuta nel Nord del Mali con la religione stessa, ma anche cercando di invitare le persone alla calma e facendole riflettere sui valori fondanti che uniscono i popoli del Mali.

Tuttavia, la lezione di Sihem Djebbi sulla religione e la guerra chiarisce come dovremmo comportarci nelle situazioni di conflitto e come si può capire e affrontare questo fenomeno molto pericoloso. Alcuni gruppi di interesse usano la religione per raggiungere le persone più vulnerabili e trasformarle in strumenti di lotta.

La religione quindi dovrebbe essere usata come arma di guerra? E’ stato interessante a riguardo ascoltare le risposte degli altri studenti di Rondine a questa domanda anche perché si fondano su casi pratici che hanno riscontrato di persona nei diversi paesi di origine. Oggi è molto alto rischio che la religione venga usata come arma di guerra, e questo sarebbe fatale per le popolazioni che sono sempre le vittime. Il dialogo tra le religioni è il miglior modo possibile per aiutare ad evitare il peggio, ovvero un conflitto interreligioso. Credo sia essenziale affrontare questi temi in primo luogo perché tutti abbiamo bisogno di conoscere e di capire le dinamiche dei conflitti ma anche perché la conoscenza, il confronto e l’apertura all’altro sono l’unica vera arma che abbiamo per mettere fine alle guerre. Io continuo ad essere ottimista e vorrei concludere con una frase molto bella della docente Djebbi: “Dobbiamo percepire la religione come un valore sociale e culturale, quindi possiamo evitare di nuocere agli altri con mezzi propri”.

 

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